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Ingresso

Siamo partecipi ad una evoluzione degli ambienti che caratterizzano le residenze oggi più diffuse sul mercato. Mi riferisco alla riconfigurazione degli appartamenti dai tre ai cinque vani i quali soprattutto nella zona a giorno, avendo archiviato l'ingresso quale retaggio di tipologie storiche borghesi e ancora prima nobili che mediavano sempre la strada pubblica con gli ambienti privati tramite vani cerimoniali di saluto e spogliazione, tendono a sintetizzare in un ambiente indiviso le funzioni della convivialità, della preparazione dei cibi e del loro offrirsi ai commensali. In breve quello che erano ingresso, salotto, sala da pranzo e cucina, adesso è un indistinto living. Equilibri economici di domanda offerta hanno determinato questo. Ne è conseguito anche un ridisegno delle forniture che stanno sintetizzando quanto più possibile quelle della zona a giorno con le attrezzature della cucina, con influenze che raggiungono anche l'ambiente bagno: gli arredi di questi ambienti assumono un aspetto unitario che non dipende più dalla propria funzione. Mentre fino a pochi anni fa i contenitori per la cucina erano propriamente riconoscibili e distinti da quelli del living, oggi le attrezzature vengono declinate e, negli esempi più felici, integrate con le partizioni fisse.
Una nuova eleganza sorge dal declinare un linguaggio unico per queste molteplici funzioni, più asciutto ma non per forza meno accogliente. Anzi, questo abbassarsi dei toni, dei contrasti, delle varietà sempre difficilmente coordinate aumentano il benessere percettivo e psicologico di chi vive quotidianamente la casa. Il caos urbano è dispensatore anche di inquinamento percettivo. Tornare a casa e trovare una fluidità dello spazio, una riduzione degli ostacoli, degli impulsi è fonte di giovamento.


Gazza Massera Architetti: ristrutturazione di un appartamento anni '60. Nuovo ingresso.
La frequentazione di architetture che perseguono questo rigore è sempre una grande lezione sia per noi architetti sia per i cittadini che subiscono una sovraproduzione di finte pubblicazioni e trasmissioni televisive, spesso fuorvianti rispetto ad una educazione -non tanto ad un superficiale gusto dettato dalle mode- che li renda capaci di perseguire e realizzare le proprie aspirazioni.
Altrettanto interessante è la visita alle esposizioni internazionali che si tengono ogni anno nelle principali città del mondo.
L'ultima immagine che mi è rimasta dello scorso Salone del Mobile è stata la moltitudine di architetti e designers che affluivano tracimando, e io tra loro con le stesse curiosità e le stesse speranze, sospinti come una marea, dalla metropolitana verso i cancelli di ingresso alla fiera. Sono andato un po' prevenuto perché nei mesi precedenti non avevo visto pubblicato nulla di rivoluzionario e anche perché mancavano le edizioni dei saloni collaterali come Euroluce. Per motivi professionali abbiamo dovuto dedicare molto tempo al classico e il ritratto dell'Italia che ne rimane è un carosello di fronzoli oltre ogni pudore, una sorta di sadomaso che vede la voluta al posto della frusta, dove giovani oligarchi e incarnate odalische reggono felliniane scene.
Nel contemporaneo alcune piacevoli sorprese: aziende italiane che reinterpretano temi architettonici come il design nordico con estrema eleganza, le atmosfere meccaniche del recupero industriale con dettagli sofisticati, qualche precisazione sul tema del bagno con divertenti accenti sui nobilitati orinatoi.
L'idea dello stile italiano ci sembra lo stiano interpretando con ricercatezza alcune aziende che sviluppano i dettami che giungono direttamente dagli anni cinquanta, attualizzandoli con la maestria capace di fondere la capacità dell'alta manifattura artigianale alla produzione industriale, stemperandole con ironica contemporaneità.
Ma il numero di addetti in cui nuotiamo è la preoccupante impressione che addensa il ricordo del Salone 2014. E quantità numerica -di indistinte categorie affini- non è sinonimo di qualità.
Noi siamo architetti e siamo per l'architettura. Per tutti.







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