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LE MEDITATE DISTANZE DI PAOLO ZERMANI

L’architettura non ha fondamenta più solide se non nell’immaterialità della poetica. Il movimento della fissità di un’ombra portata su di un muro in laterizio lungo il corso della giornata è l’impalpabile indizio della sosta e del passaggio di un architetto costruttore di luoghi. Paolo Zermani, uomo di sanguigna e di lettere, è testimone di come il progetto dell’architettura sia complementare alla ricerca teorica: professore ordinario in composizione architettonica presso la Facoltà di architettura di Firenze, accademico di San Luca, visiting professor presso la  Syracuse University, fondatore e coordinatore dei Convegni sulla “Identità dell'architettura italiana”, è autore di diversi libri che descrivono con perseveranza il logico principio di rinnovamento della tradizione architettonica. Tra le opere si ricordano quelle che affiancano le quattro conferenze riportate nel libro:  la cappella sul mare a Malta (1989), il famedio e museo per la sepoltura degli uomini illustri di Torino (1989), il mausoleo dei Primi Cristiani a Roma (1994), il municipio di Noceto (2000), la chiesa di San Giovanni a Perugia (2006), la cappella-museo della Madonna del Parto di Piero della Francesca a Monterchi (2001-15), il cimitero di Sansepolcro (1997-2015), Il tempio di cremazione di Parma (2010), il restauro e ricostruzione del Castello di Novara (2004-2015) e la recente cappella nel bosco a Varano. Ha partecipato negli anni novanta a diverse edizioni della Biennale Architettura di Venezia e ha esposto anche alla Triennale di Milano. Un’opera complessa compiuta lungo un tragitto che lo ha avvicinato ad autori con i quali ha intessuto un dialogo ininterrotto, fatto di quesiti e di risposte che di volta in volta sono divenute epifanie tangibili tramite segni progettuali, per trovare infine la propria fisicità nella costruzione di luoghi. Le testimonianze emergono nei racconti delle conferenze che compongono il testo e che riportano il fiducioso affidamento della propria incertezza in mani sicure di chi ha attraversato prima di lui gli stessi dubbi culturali ed esistenziali: Piero Della Francesca, Martin Heidegger, Andrej Tarkovskij, Bernardo Bertolucci, Luigi Ghirri e molti ancora. Ciascuno portatore di frammenti di una verità che trova il proprio senso nella composizione tipologica di ogni progetto, come capitoli di un racconto che ha radici nell’antichità. L’intimo dialogo che negli anni ha intessuto con gli autori a lui cari si è poi via via trasformato in un dialogo aperto a coloro che si interessano dei valori che costruiscono gli spazi in cui abitano, e agli studenti dei numerosi corsi. Le indagini partono e tornano sempre ad un senso di luogo poiché è in esso che Zermani trova le ragioni del fare architettura: costruire spazi che accolgano il singolo e la collettività. Luoghi che trasmettano i valori dello stare sulla terra, dell’abitare. Il suo è un continuo ragionare sottovoce per cercare di ritrovare figure analoghe nella contemporaneità agli elementi certi di una ideale città antica, fatta di piazze, palazzi, statue. Oggi la disgregazione dei valori e dei riferimenti ha come contraltare lo sprawl pseudofunzionale di quelli che dovrebbero essere i nuovi monumenti: il centro commerciale, la multisala, il parcheggio, il fast food. Ad essi urge un argine che solo l’individuazione di permanenze tipologiche e di elementi archetipici dell’architettura -il muro, la colonna, la copertura, l’apertura- possono costituire. Ricorre quindi al “grande stile” di Nietsche, un coordinamento intensificato in grado di innalzare una diga contro il caos, di ridurre l’informe ad un segno forte, alla riconquista del centro, oggi impazzito. Costruisce luoghi in cui pensare, avanzare in un ragionamento propedeutico al ripristino delle azioni di lunga durata che si rendono necessarie con urgenza nel momento in cui gli elementi contemporanei prosaici e incongrui hanno di gran lunga superato nel paesaggio i segni secolari. Tali luoghi calati nel frenetico contemporaneo divengono distanze intelligenti che allentano la tensione, inducono alla sosta. La fermezza della scelta dei materiali lo trattiene da qualsiasi distrazione, soprattutto il laterizio e il ferro dei profilati, che restano tra l’industriale e l’artigianale. Una cercata povertà materiale, una convinzione che i luoghi si fanno con ciò che si ha o ciò che si determina sia l’irriducibile necessario. Emerge una evidente complementarietà tra critica teorica e costruzione, tra l’astrazione della poetica e la dimostrabilità della scienza. Che la conoscenza può sorgere tanto dall’empirismo del logos quanto dall’astrazione della poièsis.  L’immaterialità dei titoli che scandiscono la narrazione del libro - luogo, tempo, terra, luce, silenzio- risuonano armonicamente nel recinto dell’opera di Paolo Zermani a costituire una unitaria lectio tacita.

PAOLO ZERMANI, Architettura: Luogo, Tempo, Terra, Luce, Silenzio. Electa 2015


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