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Appunti sul museo Quai Branly

La visita del museo, che raduna una serie di collezioni etnoantropologiche fino ad allora disperse in piccole sedi parigine, sollecita una serie di annotazioni circa le meritevoli scelte progettuali.
La prima è relativa al lavoro che viene svolto in ambito morfologico, ossia alla lettura dei lotti che determinano il contesto -cortine continue che corrispondono ai singoli isolati con il vuoto dei cortili all'interno- e la scelta di lavorare per contrasto su due livelli. Il piano terreno del museo costruisce il volume urbano con il verde e ridisegna il vuoto dei cortili sotto al vero edificio. Ai piani superiori l'edificio prende il posto del vuoto sottostante mentre lo scemare della vegetazione determina un vuoto che contrasta con gli allineamenti urbani.



L'individuazione tipologica è molto coerente con il tema e con una tesi da sostenere in un paese caparbiamente democratico, ossia che tra le culture che caratterizzano i continenti del globo non esistono e non sono mai esistiti limiti netti, ma che vi è una continuità e uno scambio tra di esse. Questo è evidente oggi nell'era della globalizzazione ma, con tempi e modalità differenti, le forme di ibridazione hanno accompagnato l'evoluzione dell'umanità. Da ciò penso sia dipesa la scelta di un edificio in linea completamente aperto al proprio interno dove le zone espositive che corrispondono alle culture dei continenti continuano una nell'altra senza forme di discontinuità. Una tipologia molto classica: la galleria con salette laterali, il tutto sdrammatizzato da un'erosione esterna fino all'estremo, che ha scavato un volume teorico, ritorto da forze telluriche archetipiche e spolpato di ogni forma di solidità. Il vuoto della galleria e delle piccole sale laterali viene solidificato in una azione tettonica che si caratterizza nei singoli episodi determinati dalle funzioni interne: i laboratori di ricerca, le facilities quali ingresso ristoranti e rampa principali, esposizione.



Le relazioni con il contesto si risolvono in due questioni principali: l'allineamento con i fronti esistenti e i percorsi di accesso. La prima a sua volta si divide in tre argomenti: l'attacco con l'edificio liberty fa sì che il corpo dei laboratori propongano una lettura contemporanea dell'origine archetipica vegetale dell'architettura (albero sacro, colonna, capanna, tempio) che rimbalza sulle ricostruzioni floreali di inizio secolo del quartiere ritrovando proprio nella facciata dei laboratori una ricca piantumazione verticale ad opera di Patric Blanc. Il canone è impostato sull'ordine doppio così come gli edifici del lungo Senna per cui i vuoti delle finestre corrispondono a due piani interni. La continuità del fronte principale viene reso astratto assumendo l'esilità di una lastra trasparente sorretta da montanti metallici che alludono alla provvisorietà di un allestimento. Sul retro si riduce a un sofisticato sistema di cesure molto leggere quali un canneto, una esile cancellata, un pannello mobile e un corso d'acqua.
I percorsi di accesso sono veri protagonisti del progetto. Il visitatore viene preparato alla visita facendogli dimenticare le innumerevoli bellezze viste fino a quel momento durante le presunta visita della città. A tale scopo l'ingresso viene nascosto nell'angolo più remoto: i sentieri che vi conducono sono allungati quanto possibile spostando l'accesso dalla strada a metà del lotto e impostando il giardino come una foresta tropicale ove avventurarsi alla ricerca di esotiche scoperte. Anche la rampa è di una pendenza ridotta per allungare i tempi di accesso, le cui spire si ritorcono attorno ad una parte dell'archivio dei beni che nel tempo vengono catalogati, restaurati, studiati e allestiti. In tal senso la visita inizia sul marciapiede e non dopo la biglietteria.





Le facciate sono frammentate in singoli episodi che corrispondono, come si diceva, alle funzioni interne e fortemente caratterizzate da materiali contrastanti: brise soleil mobili, grigliati, lastre in alluminio dalle sofisticate tinte, legno, vetri con serigrafie giganti, vetri opalescenti.



La sezione evidenzia come sullo spazio continuo della collezione permanente galleggino le tre isole delle mostre temporanee. La pianta appare come il risultato di due lembi che si scontrano e si compenetrano nel vuoto, fatto evidente sul lato sud dell'edificio.



Il buio che domina l'interno prosegue l'intenzione di trasformare la visita in una azione di scoperta della conoscenza, nel procedere all'interno di una foresta ideale, di un ambiente archetipo dal quale emergono i reperti delle differenti civiltà tra elementi che si contraddistinguono ed altri che mostrano le ibridazioni tra civiltà e anche la permanenza formale di elementi simbolici tra culture distanti.



L'allestimento è di altissimo livello, dai tratti essenziali e al tempo stesso in grado di generare gerarchie spaziali chiare al visitatore, garantire una flessibilità agli allestimenti che muteranno negli anni predisponendo elementi modulari facilmente modificabili.



In conclusione si è di fronte ad un progetto di architettura contemporanea che non si sottrae al confronto con elementi classici, li fa propri  e li restituisce in forma astratta. Un progetto che fa corrispondere scelte morfologiche, tipologiche, spaziali e allestitive ad una tesi culturale: l'evoluzione dell'umanità è materia informe, fluida determinata tanto dagli episodi caratterizzanti quanto dalla continuità.







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