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Com'è capricciosa Venezia

Ai più Venezia appare ancora oggi impigliata tra una iconografia che sa di grave predizione atavica e una sfacciata carnascialesca accondiscendenza al pop. Una sorda ambiguità che affonda le palificate sulle paludose e liquefatte visioni del Guardi, il quale pone una fosca distanza tra la lucentezza della Serenissima e ciò che sarebbe dovuto da lì in avanti a divenire con la caduta della Repubblica. Una mitologizzazione culturale moderna ben tratteggiata nella letteratura che muta, trattiene e stratifica negli ultimi quattro secoli fisiognomiche mutevolezze, dalla galanteria di Goldoni, alla passionalità decadente di Casanova, dalla poesia di Goethe, al non-essere di Byron, per giungere alla decadenza di Mann. Il culmine della venezianità architettonica sfocerà da una lato nel riconoscimento del palladianesimo internazionale quale linguaggio ambasciatore delle esperienze illuminate di molteplici menti locali, dall’altro lato senza riuscire ad oscurare la sovrapposizione di stili, tracce di epoche, fortemente dense, concentrate in poco spazio. L’immagine che giunge a noi rimane saldata alle alchimie metafisiche del binomio bellezza-morte, agli enigmi legati a dei e demoni, alle vicende torbide d’intrighi amorosi e di morte. I giorni nostri segnano una volontà di riscatto dall’aura densa che Tafuri ha tratteggiato come “polistratificazione della città, l’intersecarsi delle sue immagini polisense, l’eclettismo che l’informa…la scoperta ricchezza comunicativa dell’aleatorio”. Insomma Venezia, qui e ora, rivendica un’idea di città, di fatti veri, di strategie –alcune riconosciute ex-post- con cui riproporre il proprio ruolo di città globale. Ruolo particolarmente faticoso poiché la densità delle vicende storiche e culturali restano di difficile approccio, un disagio, e hanno reso per troppo tempo Venezia un centro storico e non un’area metropolitana organica, intessuta da strategie che la estendono oltre le calli ed i canali con continuità verso i nuovi quartieri e i centri di Marghera e Mestre, alla ricerca di un utopico equilibrio tra conservazione e rilancio del patrimonio artistico e turistico, con infrastrutturazione e integrazione dei settori produttivi, terziari e residenziali. Il fantasma amletico ha vegliato la città per almeno la prima metà del secolo scorso, scacciando invasioni moderniste –Wright, Le Corbusier, Kahn-  arginando i fenomeni locali –Scarpa, Gardella, Quaroni- e sopendosi nel qualunquismo dell’edificazione priva di qualità per un tratto del secondo dopoguerra, relegando il proprio ruolo di premiere dame nelle Biennali delle arti. E’ indiscutibile che il vitalizio garantito dall’eccezionale lascito abbia procrastinato l’attesa del risveglio per un rilancio di un’idea di città, contemporanea, internazionale, per più decenni rispetto a città europee ad essa simili, ma da queste esperienze internazionali Venezia ha recepito utili esemplificazioni e via via ha recuperato, operando più per interventi singoli che per esperienze a grande scala, un po’ per necessità di risorse disponibili e molto per natura di quel genius loci serrato, complesso o, sempre citando Tafuri, frutto di “una polifonia contrastante” che ammette osservazioni chirurgiche al posto di vedute urbane. L’avvio di sinergie tra investitori privati e istituzioni pubbliche ha riacceso un firmamento di interventi che hanno rianimato la città dall’interno degli edifici storici e tramite trasfusioni edificatorie in aree strategiche. Il testo Architetture contemporanee a Venezia, a cura della soprintendente ai Beni artistici e culturali di Venezia Renata Cordello -che fa seguito ad un convegno di studi- restituisce la cronaca attuale di questo processo di rivitalizzazione riportando gli eterogenei interventi –riqualificazioni urbane, nuovi edifici, restauri, riusi- attuati dagli anni ottanta ad oggi. Si scorrono i quartieri dei De Carlo, Gregotti, Valle, Aymonino, Rossi, Siza, Zucchi; i musei di Piano, Ando, Podrecca, Botta, Sauerbruch Hutton; le infrastrutture pubbliche di De Carlo, Camerino, Calatrava, Chipperfield; il terziario di Cecchetto, De Lucchi, Piva; le chicche di Stirling alla Biennale e  la leziosa post-neorealista grazia di Rossi alla Fenice. Non è un caso l’utilizzo del plurale del titolo, a indicare una predisposizione della città agli accostamenti dei fatti singoli per fendere la densità civettuola del tessuto costruito. Non sfugge l’assenza della ricerca di nuovi spazi urbani, luoghi di relazione per una socialità libera e rinnovata, così come si ritrovano invece in esempi internazionali. Non ci si deve neppure aspettare una analisi di argomenti attuali come le funzionalità smart e la sostenibilità energetico ambientale, assenze che da un lato denunciano un certo affanno in questa rincorsa all’internazionalizzazione della laguna e dall'altro mostrano un certo agio nell'esporre i nuovi gioielli architettonici adagiati su un antico broccato. L'elenco è sorprendente -frutto da una costante frequentazione dell'autrice alle evoluzioni dei progetti, con impegno e sensibilità a sfumare ogni rischio di accostamenti cacofonici - e restituisce una Venezia paradossalmente inedita, generosa nell'offerta di esempi di grande qualità architettonica. La struttura del libro, come testimoniato dalle parole dell’autrice, viaggia per zone –Venezia centro, Giudecca, Lido, Isole, Mestre- proprio perché “non c’è disegno possibile su Venezia perché essa è un luogo potente. E’ il singolo caso,.., a decidere la selezione degli elementi salienti”. Città dunque delle occasioni realizzate e di idee rimaste sulla carta. La venezianità a ben pensare è proprio questa possibilità di convivenza dei fantasmi e degli attori sulla stessa scena, la scena ideale per la fiction, che se è vera la definizione di Koolhaas per la metropoli contemporanea “pronta, come gli studios di Hollywood, a produrre una nuova identità ogni lunedì mattina”, Venezia lo è molto di più, è sfondo pop sempre rinnovato tanto per il grande evento culturale quanto per il mercato del gossip. La venezianità che attraversa la storia e resta ancora valida è quindi il capriccio –memore del Canaletto e dei Guardi- finalmente rinfrescato dove chiunque può ricomporre singoli episodi, attingendo a episodi realizzati o proposte rimaste tali.






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